Sull' eterna confusione tra strumenti e obiettivi

29.08.2019

Spesso mi capita di riflettere sul rapporto tra strumento e fine, tra percorso e meta.

Prendo spunto da una nostra canzone, "Canzone per Syd", in cui il tema viene affrontato - e spero che emerga, al di là della celebrazione per uno dei fondatori dei Pink Floyd: il Syd in questione è infatti Syd Barrett e non sto qui a raccontare la sua storia (la trovate facilmente sul web, se non la conoscete già). In sintesi, è un artista arso in una violenta fiammata invece che spegnersi lentamente sulle scene: dopo un solo disco coi Pink Floyd e un paio di sofferti album da solista, il silenzio. Una violenta fiammata: tanto più rapida, tanto più luminosa.

La frase-chiave del pezzo, quella che sento più intimamente quando penso alla mia vita e a quello che sto combinando, è:

"Non c' è più grande peccato che aver potuto e non esser mai stato"

Per realizzare qualunque cosa servono talento e dedizione: Van Gogh non sarebbe mai diventato un grande pittore se non avesse sacrificato a quell' obiettivo la propria esistenza. Un momento: ho detto "sacrificato"? E' il termine giusto?

"Fui freccia e centrai il mio bersaglio", dice la canzone e, su questa frase, possiamo tornare al tema iniziale: molti di noi sono educati ad agire in modo da considerare un sacrificio l' utilizzo della freccia! Ce la teniamo ben stretta in mano, guai a chi ce la tocca; la puliamo, la proteggiamo, la affiliamo giorno dopo giorno... ma senza motivo, dal momento che mai e poi mai ci decidiamo a fare ciò per cui la freccia è stata creata: liberarla, lasciarla andare verso l' obiettivo. Rinunciando a perderla, la perdiamo! Accettando di perderla, la realizziamo.

Van Gogh, tornando all' esempio, non ha sacrificato nulla: ha realizzato se stesso. E quando noi, giorno dopo giorno, basiamo le nostre scelte sulla conservazione di ciò che siamo e ciò che abbiamo, invece che sull' utilizzo del nostro tempo per realizzare noi stessi, non stiamo in realtà guadagnando nulla: stiamo sprecando le nostre vite. Ogni giorno sacrifichiamo interessi, sentimenti, integrità e coerenza sull' altare della conservazione, spinti dalla paura: unico obiettivo, prolungare di un minuto lo status quo. Ma non - come sarebbe sano - prolungarlo per renderne più efficace l' utilizzo, in una visione strategica - così come il contadino lascia crescere il grano finché non è maturo: questo "prendere tempo" non ha prospettive, è un desiderare il "tempo fine a se stesso", quando l' unica cosa su questo pianeta che non possiamo metter da parte è proprio il tempo: un secondo sprecato è un secondo perduto.

Quello che non è in potenza, non può diventare atto (se lo facesse, significherebbe che era in potenza e non ce ne eravamo accorti) ma "non c' è più grande peccato che aver potuto e non esser mai stato": è consumando noi stessi che realizziamo noi stessi; è accettando di perdere gli strumenti che raggiungiamo i traguardi per cui siamo nati.

C' è solo un modo per giungere senza timore e senza angoscia alla fine del viaggio. Chi avrà passato la vita tentando di prolungarla all' infinito, sacrificando a tale scopo tutto ciò che riteneva giusto e tutti i propri sogni - in pratica sacrificando se stesso - si troverà disperato di fronte al proprio fallimento, senza speranza di tornare indietro. Io spero solo una cosa per me e per tutti voi, ossia di poter in quel momento dire, come Syd nella canzone, "che io quel che avevo da fare l' ho fatto"!

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